progetto mamma roma_ esplorazioni urbane/pratiche della percezioneDomenica 24 aprile 2016 una comunità di venticinque persone ha percorso il lido di ostia a piedi, partendo dal centro e osservandone il progressivo digradare verso gli spazi della periferia. la nostra meta era l’idroscalo, vertice di vitalità e libertà.
il progetto mamma roma_ esplorazioni urbane / pratiche della percezione, curato da dom-, è una ricerca indisciplinata intorno al rapporto tra corpo, paesaggio e visione, un ciclo di attraversamenti capitolini e di studi performativi iniziato nel 2014. La preparazione di ogni esplorazione risponde ad un processo di creazione artistica, e pertanto questi passaggi vanno a comporsi come oggetti d’arte, una raccolta di opere effimere, dalla durata incerta ma costruite con precisione calligrafica, delle drammaturgie spaziali, dei montaggi in tempo reale caratterizzati da accostamenti e contrasti, da soglie e salti dimensionali, in un equilibrio tra la soggettività della percezione e la condivisione di una socialità. La quinta edizione di mamma roma è stata dedicata al rapporto che la città intesse con il suo mare; abbiamo quindi perlustrato quegli spazi e quegli insediamenti abitativi che insistono sulla fascia del litorale. Alcune domande che ci hanno accompagnati domenica scorsa sono state: cosa ci fa dire «sono al centro» e «sono in periferia»? come cambia il nostro stato fisico, emotivo ed energetico in uno spazio o nell’altro? quali pregiudizi vengono messi in campo quando parliamo di “periferie”? Dalla stazione di lido centro, abbiamo attraversato le vie principali, codificate e rassicuranti, col viavai dei negozi e delle gelaterie, l’affollato pontile, i parchetti attrezzati con giostre e videogiochi, e poi abbiamo deviato verso pinete, campi incolti, fossati e ponticelli, banchine fluviali, alloggi popolari, case chiodo, per raggiungere ostia ponente, lo skate park in rovina, e infine il viale del porto, tra imbarcazioni lussuose e attività commerciali oscurate dalla crisi. Talvolta ci siamo fermati, abbiamo esposto i corpi alle impressioni dello spazio circostante, abbiamo tentato esperimenti e verifiche. prendendo le mosse da alcune pratiche proprie della performance contemporanea, ed impiegando elementi provenienti dalle tecniche della danza sensibile® - disciplina che lega le pratiche della danza al lavoro in natura e alle tecniche d’ascolto dell’osteopatia-, i partecipanti sono stati guidati ad allenare sguardo, percezione e presenza, nell’ascolto dei rapporti spaziali e delle connessioni articolari. partire dall’interno per aprirsi all’esterno. avvertire il legame di contiguità tra corpo e ambiente, i rapporti di forza e le reciproche influenze che esercitano tra loro. osservare il limite incerto tra realtà e rappresentazione. All’uscita secondaria del porto, quella dove non arriva quasi mai nessuno, c’erano ad aspettarci due bambine, silvia e giulia, bellissime, due principesse di borgata, eleganti e selvagge, schive, ma sicure del loro territorio. hanno camminato al nostro fianco silenziose, accompagnandoci nell’ultimo tratto del nostro viaggio, dentro l’idroscalo, e se un cane ci abbaiava e si faceva minaccioso a loro bastava lanciargli una pietra per allontanarlo, avendo cura che i loro ospiti non venissero « mozzicati ». Nel piazzale dell’idropark tirava un gran vento, il mare era mosso. franca e francesca - rispettivamente nonna e mamma di silvia e giulia - ci hanno accolti in casa loro, apparecchiandoci nel loro giardino, sotto una tettoia di legno, al riparo dalle raffiche di vento, dove, alla luce di qualche neon rosa, abbiamo potuto consumare la cena che avevamo preparato. noi eravamo entusiasti di essere lì, l’accoglienza riservataci era di un calore commuovente. Franca e Francesca sono delle voci autorevoli all’interno della comunità foce tevere, e conservano un patrimonio di ricordi e di informazioni legate all’idroscalo. e dunque non potevamo fare a meno di incontrarci parlando, avevamo una gran voglia di starle a sentire. Incalzate dalle nostre domande, tra vino e colonne sonore, ci hanno raccontato gli eventi che hanno trascorso da quando vivono lì, dai padri che con le loro mani, diversi decenni fa, hanno costruito quelle case, agli sgomberi del 2010, passando per il disinteresse delle istituzioni e i progetti di speculazione per l’ampliamento del porto. ci hanno descritto l’invadenza di giornalisti rapaci, l’amore per il posto in cui vivono e la costante minaccia della demolizione, le battaglie, la rabbia, il senso di famigliarità su cui hanno costruito quella comunità ma anche le tensioni interne che attraversano, la vivacità dei bambini all’aria aperta che sfiorirebbe al quinto piano di un condominio, abituati da sempre ad una permeabilità tra l’interno di casa e le strade in cui giocano, « come dovrei fa’ co’ questi? je metto ‘na carrucola dar balcone? ». Siamo andati via senza aver scattato neanche una foto. Più che il degrado, l’abbandono e il pericolo, noi all’idroscalo abbiamo avvertito la potenza di un quartiere autocostruito e autogestito, l’armonia delle forme che caratterizza questo episodio di architettura spontanea, non progettato dagli architetti ma messo in piedi dalla “mente locale”, esemplare per la creatività con cui vengono assemblati materiali semplici e morfemi architettonici, per l’espressività che in alcuni casi queste forme raggiungono, per la fisionomia della vita sociale, in cui un forte senso di appartenenza e la rivendicazione di un modus vivendi sono stati espressi, in molti abitanti di questa comunità, con il desiderio di un riconoscimento pubblico, arrivando a proporre praticamente la nascita di un borgo, il borgo dell’idroscalo. Un luogo, a nostro avviso, da difendere e onorare. Valerio Sirna / dom- Questo articolo è stato pubblicato su https://osservatorioidroscalo.wordpress.com/, blog curato da Stefano Portelli antropologo e studioso (Dottorato di Ingegneria dell'Architettura e dell'Urbanistica, Università La Sapienza).
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