milano//dro//cesena
workshop
a cura di Leonardo Delogu
it
camminare nella frana è un ciclo di seminari pensato come un addestramento al lavoro del performer.
il punto di partenza dello studio è il corpo come paesaggio, come luogo, mappa geografica dei tempi. uno studio che parte dall’ascolto meticoloso dell’interno, dalla consapevolezza della nostra macchina biologica, per poi abbandonarsi e vagare nelle pieghe dell’esterno, del circostante, nella scoperta della continuità tra dentro e fuori. un lavoro inchinato, che si muove nella materia del teatro come quando si entra in un luogo abbandonato, in una chiesa, nella porta di un paese di montagna; quella percezione del sacro che dismette ogni arroganza di chi pensa di essere il padrone della terra .
un viaggio dentro l’ascolto e l’attenzione, strumenti della presenza che permettono di essere connessi alla realtà, fuori dall’impero del pensiero razionale. un addestramento all’accoglienza del presente, alla capacità di raccogliere le informazioni che turbinano nello spazio del presente, per canalizzarle e trasformarle, in gesto, parola, relazione, essenza; agganciarci alle correnti nascoste, alle forze telluriche della creazione e osservarci generare, dare forma e poi sgretolarle, posarci, stare fermi. proveremo questo attraverso il lavoro individuale e corale,nello spazio chiuso di una sala e all’aperto. utilizzeremo la città, i suoi segni, il paesaggio sonoro e visivo come panorama di cui nutrirsi e in cui dispiegare l'azione. la città come paradigma del nostro stare al mondo, il nostro risultato più evidente. studieremo lo spazio nelle sue indicazioni oggettive di profondità, rarefazioni, pieni e vuoti, nelle ristrettezze progettuali della mente e nei bagliori di eternità. ci riapproprieremo sottilmente dello spazio, ne faremo il nostro campo di battaglia e il luogo del riposo.
camminare nella frana è per me quello che un performer dovrebbe sempre fare: non accontentarsi del conosciuto, non solidificare certezze ma spingere la propria ricerca laddove il terreno è sconnesso, nell'ignoto, nell'aperto, alla mercé delle intemperie.
camminare nella frana, mi sembra anche essere il nostro procedere in questi tempi. anche se non ce ne accorgiamo attraversiamo un panorama rovinato, fatto di macerie, un sistema crollato nelle fondamenta, che più precipita tanto più ostenta tranquillità.
vorrei addestrarci a non restare indifferenti, a farci carico della fine, incarnarla, essere li nel punto del crollo, esporsi, riverberare la fine e ricominciare.
il punto di partenza dello studio è il corpo come paesaggio, come luogo, mappa geografica dei tempi. uno studio che parte dall’ascolto meticoloso dell’interno, dalla consapevolezza della nostra macchina biologica, per poi abbandonarsi e vagare nelle pieghe dell’esterno, del circostante, nella scoperta della continuità tra dentro e fuori. un lavoro inchinato, che si muove nella materia del teatro come quando si entra in un luogo abbandonato, in una chiesa, nella porta di un paese di montagna; quella percezione del sacro che dismette ogni arroganza di chi pensa di essere il padrone della terra .
un viaggio dentro l’ascolto e l’attenzione, strumenti della presenza che permettono di essere connessi alla realtà, fuori dall’impero del pensiero razionale. un addestramento all’accoglienza del presente, alla capacità di raccogliere le informazioni che turbinano nello spazio del presente, per canalizzarle e trasformarle, in gesto, parola, relazione, essenza; agganciarci alle correnti nascoste, alle forze telluriche della creazione e osservarci generare, dare forma e poi sgretolarle, posarci, stare fermi. proveremo questo attraverso il lavoro individuale e corale,nello spazio chiuso di una sala e all’aperto. utilizzeremo la città, i suoi segni, il paesaggio sonoro e visivo come panorama di cui nutrirsi e in cui dispiegare l'azione. la città come paradigma del nostro stare al mondo, il nostro risultato più evidente. studieremo lo spazio nelle sue indicazioni oggettive di profondità, rarefazioni, pieni e vuoti, nelle ristrettezze progettuali della mente e nei bagliori di eternità. ci riapproprieremo sottilmente dello spazio, ne faremo il nostro campo di battaglia e il luogo del riposo.
camminare nella frana è per me quello che un performer dovrebbe sempre fare: non accontentarsi del conosciuto, non solidificare certezze ma spingere la propria ricerca laddove il terreno è sconnesso, nell'ignoto, nell'aperto, alla mercé delle intemperie.
camminare nella frana, mi sembra anche essere il nostro procedere in questi tempi. anche se non ce ne accorgiamo attraversiamo un panorama rovinato, fatto di macerie, un sistema crollato nelle fondamenta, che più precipita tanto più ostenta tranquillità.
vorrei addestrarci a non restare indifferenti, a farci carico della fine, incarnarla, essere li nel punto del crollo, esporsi, riverberare la fine e ricominciare.
eng
“ walk in the landfall” is a series of workshops designed as a training for the performer work. the starting point of the study is the body as a landscape, as a place, a geographic map of our times. a study that starts from the meticulous listening of the interior, from the consciousness of our biomechanical status, and then sprawls and wanders in the folds of the exterior, the surroundings , discovering the continuity between inside and outside. a work made of devotion and wonder that moves in the substance of theater as when we walk in an abandoned place, in a church, through the gate of a mountain town; that perception of sacred which removes each arrogance of those who think to be the master of the earth . a travel within the listening and the attention, components of the presence which allow to be connected to reality ,outside the empire of rational thought. a training to the acceptance of the present , to the ability to collect the informations flapping in its space , to canalize and turn them into gesture, word, relation, essence; an exercise to intercept the hidden currents, the telluric forces of creation, and to watch ourselves in the act of generating, giving form and then crumbling them , staying steady , staying quiet. we’ll build this experience through individual and choral work ,in the closed space of a room and outdoors. we’ll use the city, her signs, the sonorous and visual landscape as a panorama in which feeding and unfolding the action. the city as a paradigm of our being in the world, our most evident result. we’ll study the space through its objective indications of depths, rarefactions, fullness and emptiness , in mind constraints of planning and sparkle of eternity. we’ll subtly reclaim space, we'll make of it our battlefield and, at the same time, a quietness place.
“walk in the landfall” represents in my opinion the duty of the performer : going beyond the evidence , avoiding to solidify certainties but pushing his research where the ground is uneven, into the unknown, in the open space , at the fate mercy. “walk in the landfall” also seems to be similar to our travel in these times. even if we do not realize it, we cross a ruined landscape, made of rubble, a collapsed system which flaunts tranquility while goes to ruin. i would like to train ourselves to not be indifferent, to take care of our end incarnating her, to be exactly at the collapse point , to reverberate the end and start again.
FOTO
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