di e con/ by rand with: Leonardo Delogu suono/ sound: Davide Tidoni luce e scene/ light and scene: Giovanni Marocco installazione luminosa/light installation: Luca Poncetta ricerca visuale e documentazione fotografica: Laura Arlotti
it
Questa prima fase di studio parte dall’indagine di Terni svolta seguendo i tracciati dei vuoti della città, di tutto quello che è sfuggito al piano organizzato, di quei residui del progetto urbanistico, dei luoghi che in qualche modo si sono ribellati alla pianificazione. Case abbandonate, campi incolti, costruzioni mai terminate, tutti questi luoghi, formano un paesaggio diffuso e continuo, un negativo del paesaggio urbano conosciuto. Qui molta vita si consuma al riparo degli sguardi, qui il paesaggio parla di una vita costretta alla periferia della vita dei più, qui ci si viene più o meno tutti a fare quello che il senso comune vieta di fare, qui si spende quel pezzo di libertà che ognuno decide di concedersi. Da questa esplorazione gli artisti hanno raccolto materiale sonoro, fotografico, sensoriale che ha costituito la base di partenza per la creazione dell’evento. “Ora siamo in una sosta, in un grande vuoto nella penombra, in uno strappo del tempo e dello spazio conosciuto. Siamo in una dilatazione, in quel silenzio appeso che precede l’inizio. Tabula Rasa parla di questo vuoto come un posto che tutti conosciamo, come uno stato dell’anima che è quello dell’attesa di un evento oltre la nostra misura o forse la calma dei muscoli prima di una nuova prova”. leonardo delogu "C'è una malinconia preziosa e misteriosa in questo spettacolo, un'atmosfera allucinante che ricostruisce la precarietà, la stupidità e forse anche la noncuranza dell'uomo. Lo fa attraverso immagini taglienti, umide come lo spazio in cui crescono, come il muschio sulle mura delle case abbandonate, ma allo stesso tempo feroci come le bestie, come le termiti che divorano e distruggono tutto. La bestialità dei movimenti corporei, delle vesti animali e delle foglie piantate in maniera indelebile nella carne, permea una drammaturgia fatta di silenzio, suoni lontani ed echi della vita urbana, che cadono come pietre sul corpo di Delogu. I suoi movimenti conservano il mistero dei luoghi abbandonati, non profanati, della natura che cancella ciò che l'uomo ha creato. Nel finale un cielo di stelle si scaglia all'orizzonte mentre una voce maschile, come quella di un dio, elenca un decalogo di comandamenti. Un misto di commozione, dolore, e inquietudine investe allora lo spettatore." matteo antonaci teatroteatro.it