D é s e r t / a ritual for in transition landscape
di Leonardo Delogu a cura di Maria Paola Zedda una produzione della Fondazione di Sardegna nell'ambito del progetto AR/S - Arte Condivisa in coproduzione con Fondazione Sardegna Film Commission e Sardegna Teatro in collaborazione con Carovana SMI e Spaziodanza con Sara Azzu, Donatella Cabras, Franco Casu, Rossana Luisetti, Francesca Massa, Johnny R. e con la partecipazione di : Mamadou Balde, Omar Baldeh, Nabieu Bangura, Sophie Benar , Anastasija Bogach, Ebrima Colley, Elio De Montis, Mouhamed Aliou Diallo, Alex Dijre, Alice Ermellino, Sambiry Fofana, Giorgia Gerina, Sara Lawor, Laura Loriga, Bakari Manne , Andrea Melis, Maura Missoni, Marta Obili, Serena Pibiri, Emanuele Piras , Luisa Puddu, Rabiou Abass, Rahaman Abdul, Adams Saab, Lamine Samba, Beatrice Scura , Laura Secchi, Stefano Serpi, Francesca Seu, Barbara Siguri, Isigaka Sila, Amal Targhi Coordinamento coro Valentina Coni Organizzazione: Francesca Agabiti Allestimento e luci Giovanni Marocco e Ludovico Lesina musiche originali: Alessandro Olla intervento video :Studio Azzurro costumi: Serena Trevisi Marceddu Responsabile progetto: Franco Carta Coordinamento: Riccardo Uras
Désert nasce da una riflessione sul deserto come “milieu” matrice che rappresenta il grado minimo ed essenziale per la sopravvivenza delle forme viventi e delle loro relazioni con l’ambiente, ma anche fattore generativo di esperienze di adattamento radicale e profondo. Laddove il presente si fa sempre più complesso, intellegibile, stratificato, il deserto ci riporta all’essenziale, alle forme primarie, rilette con lo sguardo dell’oggi. È la postura dell’Angelo della Storia di Walter Benjamin, costretto a volgersi indietro, verso le macerie del nostro tempo, per poter procedere, di spalle, verso il futuro.
“Cos’è il deserto oggi? Dov’è? Chi lo abita? Con quali gesti e azioni? Cosa spinge a mettersi in viaggio? Cosa costringe a sradicarsi e radicarsi di continuo? “
La performance prende in analisi le forme delle grandi migrazioni dei popoli nomadi del deserto. Grandi carovane di uomini donne e animali a piedi che attraversano lande desolate per trovare spazi abitabili dove dimorare temporaneamente. Camminare in gruppo, camminare in fila indiana, fermarsi, costruire un accampamento, accendere un fuoco, cucinare insieme, lavarsi a vicenda, cantare, ripartire, cadere, scrutare l’orizzonte per cercare la direzione, trasportare la propria casa, gli oggetti, il necessario per vivere, stare fermi guardare lontano, fumare. Queste azioni saranno il campo di studio, le stratificazioni dell’esperienza coreografica. Il pubblico è invitato ad assumere una prospettiva lontana, uno sguardo contemplativo che ritaglia e testimonia il passaggio e l’avvicinamento di questo popolo.
“Perché chi si sposta genera cosi tanta preoccupazione in chi permane? Nomadi e stanziali si incontreranno mai? Potrà mai accadere l’incontro tra culture così distanti? E quando si trovano occhi negli occhi cosa accadrà? Si riconosceranno? “
Varie fonti sonore immerse e in movimento nel paesaggio incorniciano e sostengono la visione. I colori e le forme, gli abiti e gli oggetti trasportati si trasformano durante il cammino. Dentro riconosciamo la durezza e la drammaticità del nostro tempo, della condizione dei profughi odierni ma anche la forza e la statura della dimensione nomadica, che emerge come miraggio dall’alba dei tempi. È una migrazione contemporanea e allo stesso tempo antichissima. Un farsi comunità in transito dentro il deserto del tempo.
ENG
Désert was born from a reflection on the desert as a "milieu" matrix that represents the minimum and essential degree for the survival of living forms and their relations with the environment, but also a generative factor of experiences of radical and profound adaptation. Where the present becomes more and more complex, intelligible, stratified, the desert brings us back to the essential, to the primary forms, reinterpreted with the gaze of today. It is the posture of Walter Benjamin's Angel of History, forced to turn back towards the ruins of our time, in order to proceed, from behind, towards the future.
"What is the desert today? Where is it? Who lives there? With what gestures and actions? What drives you to set out on a journey? What forces us to eradicate and take root continuously? “
The performance analyses the forms of the great migrations of the nomadic peoples of the desert. Large caravans of men, women and animals on foot crossing desolate lands to find habitable spaces where to dwell temporarily. Walking in a group, walking in an Indian line, stopping, building a camp, lighting a fire, cooking together, washing each other, singing, leaving, falling, looking at the horizon to find the direction, transporting one's home, objects, what is needed to live, staying still, looking away, smoking. These actions will be the field of study, the stratifications of the choreographic experience. The public is invited to take on a distant perspective, a contemplative gaze that cuts out and bears witness to the passage and rapprochement of this people.
"Why does the person who moves generate so much concern in those who remain? Will nomads and permanent residents ever meet? Will it ever be possible for such distant cultures to meet? And when you find eyes in your eyes what will happen? Will they recognize each other? “
Various sound sources immersed and moving in the landscape frame and support the vision. Colours and shapes, clothes and objects carried are transformed during the journey. Inside we recognize the harshness and drama of our time, the condition of today's refugees but also the strength and stature of the nomadic dimension, which emerges as a mirage from the dawn of time. It is a contemporary and at the same time very ancient migration. A becoming a community in transit within the desert of our time.