I giardini sono lo spazio in cui si esprime la vita, sono un luogo fisico, un luogo del pensiero e un luogo dell'anima. Non ho deciso di occuparmi di giardini; i giardini sono apparsi, hanno trasformato l'occhio, e la luce che arrivava dagli spazi abbandonati, indecisi, sospesi, oggi ha dato luogo ad una nuova visione. Non più rovine ma giardini, non più abbandoni ma luoghi di vita, da cui ri-orientare la vita.
I giardini sono la luce serale con cui guardare le macerie, sono la prospettiva poetica degli abbandoni. Di più. I giardini sono la possibilità di un modo nuovo di concepire la relazione; questi si basano su un principio biologico fondamentale, quello della coabitazione. All’interno di un giardino le piante e gli animali trovano la strada per realizzare ognuno il proprio progetto personale, adeguandosi e relazionandosi con i progetti personali degli altri abitanti. Hanno, pur con un linguaggio muto, una modalità di crescita poggiato sulla collaborazione Per questo mi interessa studiare i giardini, perché mi parlano di un luogo, di un eterotopia, come dice Foucault, dove si esprimono modalità diverse rispetto a quelle del potere costituito. Paradossalmente, proprio laddove sono affascinato dallo studio del linguaggio muto di collaborazione delle piante, scopro che nelle fondamenta del pensiero filosofico orientale e occidentale ci sono i giardini: i giardini persiani e arabi della mistica sufi e la prima scuola filosofica dell'occidente: il giardino di Epicuro. In realtà sono il luogo del pensiero perifierico, di quel pensiero marginalizzato, messo da parte, laterale, di cui abbiamo perso le tracce, di cui abbiamo perso i testi, che ha preferito vivere nella pratica trasmessa oralmente, più che essere codificato. Il giardino, come dice Gilles Clement, è la rappresentazione del pensiero del tempo. E dunque qual'è il giardino che rappresenta il nostro tempo? che tempo abitiamo? Mi piace l'idea di costruire un luogo di pratica e di pensiero che abbia come centro d'indagine la fisiologia di sviluppo e di relazione delle piante e un luogo dove osservare l'espressione della relazione dell'uomo con la natura. Vorrei costruirne una disciplina, un'attitudine dello spirito all'ascolto. Perché è attraverso l'ascolto che è possibile concepire una serie di pratiche di cura, funzionali alla creazione del contesto giusto perchè si dispieghi la vita e moltiplichino le specie. Una disciplina dell’osservare, del corpo che ascolta e rispetta lo spazio fra le cose, il campo sensibile di ciò che vive. Una ripartenza da una disciplina che ricolloca l’uomo in un lavorio giornaliero di piccole azioni mirate e studiate che hanno la funzione di dare spazio alla creazione, di creare le condizioni perché il movimento continuo sottostante si dispieghi. Ecco che l’arte, la creazione non sono più il frutto e l’espressione dello sforzo del genio umano, ma il risultato della relazione misteriose tra le cose sotto lo sguardo amorevole, contemplativo, largo dell’uomo. Da qui muovo verso la disciplina del campo. L.D.
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May 2016
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